Giurista e scrittore nuorese, Salvatore Satta deve la sua fama alla famiglia: infatti non ha mai pubblicato nessun'opera, ma i suoi parenti, riordinando le sue carte da giurista, trovò il suo manoscritto e s'impegno a pubblicarlo, e, con la seconda edizione, diventò un caso mondiale.
Il libro narra vicende e personaggi della Nuoro dei primi del Novecento, dalla inesorabile diaspora familiare si passa ad uno spazio più ampio, la scuola, gli osti, i preti, i giovanissimi, i vecchi, i pazzi che hanno realmente attraversato e vissuto a Nuoro, contribuendo a costruirne la storia e aiutato l'autore a scrivere le loro storie.
Ne "il giorno del giudizio" vi è la storia di un ricordo vivo e trasparente da parte dell'autore e il suo viaggio prende forma, sostanza, giudizio:
"Questo triste paese, nel quale gli era toccato vivere, che era indifferente a tutto, che aveva accettato le spoliazioni di cui era rimasto vittima, dormiva un sonno secolare, era un paese per modo di dire, perché paese è dove esiste un prossimo, non quello dove ciascuno vive la sua apparenza di vita, nelle case chiuse come fortilizi e alla farmacia o al caffè. Il solo punto d'incontro è il cimitero."
troviamo Satta alle prime luci dell'alba, in modo da non essere visto dai nuoresi, al cimitero, per incontrare i morti e per raccontare una storia, tra pena e dolore, quasi impossibile da narrare. E il viaggio evocativo si dirama in più direzioni, in un groviglio di sentieri, in un viaggio nel tempo, tra i morti, dai quali si sente invocato: "tu stai al mondo solo perchè c'è posto!", che in nuorese suona così "tue ses in su mundu solu ca b'atlocu", è il rimprovero che don Sebastiano rivolge spesso alla moglie Donna Vincenza, mentre con il lume in mano la osserva in un angolo, più dimenticata che viva, immobile e mezza cieca, una condizione che l'aiuterà a vendicarsi del marito, che in tarda età sentirà il desiderio impellente di quell'affetto che per tanti anni aveva fatto mancare alla moglie; in molte zone della Sardegna ancora si usa questo giudizio per apostrofare una persona come buonanulla, inutile, ed è in questo giudizio che si trovano anche tutti gli altri personaggi che attraversano le pagine del racconto, potenti o fragili, astuti o semplici.
Nel tempo e nella notte l'autore incontra carnefici e vittime, luoghi maledetti, tenebre e luci accecanti, e ovunque fa scorrere un'ironia alta e solenne, mai senza pietà: quando Pietro Catte s'impicca all'albero di Biscollai per sottrarsi alla realtà, l'autore ricorda al lettore che non si può annullare il proprio essere nati, e ciò rende la sua morte inutile, perchè egli vivrà nel ricordo dei suoi compaesani e dei suoi familiari.
Il libro è un testo sulla vita e sulla morte, sulla possibilità di saper scegliere, sul saper raccontare in maniera che il lettore senta i personaggi vivere: il ripescaggio mnemonico è vivo, doloroso e divertente, talmente impetuoso che Satta alla fine si chiede il motivo che l'ha spinto a scrivere di quell'evento o di quella persona: è il senso della vita stessa che ritorna per tutte le anime chiamate in causa, perchè appena si muore il ricordo vivo nella mente dei vivi è il giorno del giudizio, positivo o negativo. I personaggi non sono altro che anime che ritornano davanti all'autore per chiedere di essere ricordate, e Satta li rinviene confusi tra loro.
Alla fine di questo viaggio sente di avviarsi ad una triste fine e un dubbio lo assale: forse non sono stati i personaggi del libro ad invocarlo, ma è stato lui a chiamarli, non consapevole del rischio in questo modo di diventare eterno, di non cedere all'oblio, come in ogni buon morte, ma di rendersi, in queste pagine, eterno.
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