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sabato 26 marzo 2011

Grazia Deledda, autodidatta nuorese

Nata a Nuoro nel 1871, è riuscita, nonostante i costumi del tempo, a studiare e a "sfondare" nel mondo della letteratura nazionale, facendo conoscere il suo nome e la sua città natale oltre i confini isolani e addirittura nazionali.
Cresciuta in una famiglia borghese e acculturata, respira l'amore per la letteratura sin da piccola, anche se gli unici studi formali si fermano alle elementari, dopo le quali viene seguita privatamente da un tutore per le materie di latino, francese e italiano; da non sottovalutare gli influssi dei dibattiti sociali, politici e culturali dell'epoca che nutrirono l'amore per il sapere della giovane Grazia.
Scrive sin da giovanissima e si vede pubblicata la sua prima novella a 15 anni, e subito dopo inizia una collaborazione con la rivista "ultima moda", anche se ostacolata dalla famiglia e criticata dalla società nuorese.
Ma Grazia non si scoraggia e continua a scrivere, approfondendo lo studio dei suoi personaggi, e il suo stile letterario, diventando un osservatrice dei costumi della sua città e della sua regione, inviando i suoi manoscritti in continente.
Quando si sposa, si trasferisce a Roma con suo marito, dove rimarrà fino alla sua morte, e dove partorirà le sue opere più celebri, intrise di nostalgie per la sua Isola.
Le opere della giovane sarda sono intrise d'amore, di dolore e di morte, e aleggia il senso della colpa, del peccato retaggio di un'educazione fortemente religiosa; i critici hanno sempre avuto problemi a incasellarla in un settore specifico, tra verismo e decadentismo, non riuscendo mai a superare la barriera del naturalismo, e di teorie linguistiche che non riuscivano a comprendere le complessità del sistema letterario sardo: per questi motivi i critici la attaccavano e non la consideravano una scrittrice nel panorama italiano, al contrario del suo pubblico e di pochi scrittori suoi contemporanei che continuarono ad amarla e ad apprezzare le sue opere.
Oltre i confini nazionali fu sempre stimata, sia dai giovani scrittori che da quelli affermati, come Lawrence e Gorkij: il primo curò l'introduzione alla traduzione di "La madre", e il secondo si curò di suggerire la lettura dei romanzi della scrittrice sarda ad una giovane scrittrice esordiente, in quanto vece forte, "senza rivali sia nel passato che nel presente".

Nel 1926 vinse il premio Nobel per la letteratura, seconda donna a stringere quel premio in Italia:

"Per la sua ispirazione idealistica, scritta con raffigurazioni di plastica della vita della sua isola nativa, con profonda comprensione degli umani problemi"

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