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giovedì 16 giugno 2011

15 Giugno: eclisse lunare totale

Ieri sera come migliaia di persone siamo state testimoni di uno spettacolo straordinario a cui capita poche volte di assistere: l'eclissi totale di luna.
Capita poche volte perché data la posizione della terra, la maggior parte delle volte capita di assistere ad un eclissi parziale come quella che avverrà il 10 dicembre di quest'anno, visibile in maniera totale solo dall'Asia e dall'Oceania, e in maniera parziale da Europa, Africa e America del Nord.
I pastori, per spiegare ai bambini l'evento dell'eclissi, usavano dire "como est chenando, cando finit de chenare, essit!", "ora sta cenando, quando finisce, uscirà!"; bene ieri la luna è andata a cenare alle 21:41 e ha finito di cenare alle 23:21. Il momento migliore è stato alle 22:30, quando c'è stato il picco di visibilità e la luna era completamente oscurata.
Per meglio capire come sia possibile l'eclisse lunare basta sapere che è un fenomeno ottico durante il quale la terra proietta ombra verso la luna oscurandola parzialmente o del tutto, e questo può succedere solo con la luna piena, e quando il sole, la terra e la luna sono perfettamente allineate in quest'ordine.Durante l'eclissi, la luna non cessa totalmente di proiettare luce alla terra, ma la luce solare che attraversa l'atmosfera viene deviata e raggiunge il satellite che dà l'illusione di avere molte tonalità di rosso: dal rosso scuro al rosso arancio, passando addirittura per il blu e il verde scuro a seconda della zona terrestre che riflette i raggi.

martedì 7 giugno 2011

Papassini.. gnam gnam!


Ingredienti per circa 30 papassini:

500 gr di farina "00";
175 gr di strutto o burro (noi mettiamo la margarina);
200 gr di zucchero;
3 uova intere;
un tuorlo;
100 gr di noci;
100 gr di mandorle;
100 gr di uvetta;
scorza di limone o arancia grattugiata;
1 cucchiaino di anice stellato.

Ingredienti per ricoprire tutti i papassini con la glassa:

200 gr di zucchero a velo;
1 albume;
diavolini quanti ne volete.

Preparazione:

Mettere l'uvetta sul fuoco alto con una quantità d'acqua sufficiente per ricoprirla, e lasciarla scaldare prima che si metta a bollire, togliere l'uvetta dall'acqua e sgocciolarla per infarinarla un po'. Sciogliere in un pentolino lo strutto o quello che si è scelto. Versare la farina in una ciotola, aggiungere lo strutto e impastare per un po'. Aggiungere le uova una alla volta e il tuorlo e continuare ad impastare. Aggiungere lo zucchero fino ad ottenere un composto elastico, aggiungere le noci, le mandorle, l'anice e l'uvetta e impastare bene. Preriscaldare il forno a 180°.
Prendere piccole palle d'impasto e renderle come dei rotoli per appiattirli con le mani e tagliarli a forma di rombo.
Stendere i papassini fatti nella teglia con la carta da forno e infornarli per circa 15-20 minuti.
Nel frattempo preparare la glassa nel seguente modo:
bisogna solo mischiare l'albume avanzato prima con lo zucchero a velo e stenderlo sui papassini piuttosto velocemente perché la glassa tende ad asciugarsi e aggiungere i diavolini per un tocco di colore.
Buon appetito!!

lunedì 6 giugno 2011

Colonia felina di Su Pallosu...

In provincia di Oristano a due metri dal mare troviamo una piccola frazione chiamata Su Pallosu, che ospita una bellissima colonia di gatti, circa una quarantina. La colonia è una delle più conosciute in Italia e la sua esistenza è datata al 1947. Quello che rende speciali questi gatti non sono tanto le loro azioni, ma il luogo dove le compiono: in spiaggia!! Avete mai visto dei gatti in spiaggia? Bene questi non solo entrano in spiaggia, ma ne hanno fatto la loro colonia. I gatti vivono la maggior parte del tempo nella loro spiaggia arrivando a sfiorare l'acqua con le loro zampette e, mentre giocano, fanno divertenti esibizioni come possiamo vedere nei video presenti su internet! A coordinare tutte le iniziative è Andrea Atzori, aiutato dalla sua compagna Irina, e proprio lui, raccontando della colonia, dice " Sono gatti liberi. Qui vivono tranquilli e sicuri di essere benvoluti e rispettati. La loro area va dalla spiaggia fino alle colline circostanti la costa per un raggio di 500-600 metri. Noi, adesso, stiamo cercando di coinvolgere le istituzioni (fin ora assenti) affinché il turismo legato ai mici di Su Pallosu sia controllato e sostenibile. Stiamo promuovendo visite guidate gratuite alla colonia e al borgo marino proprio per garantire a questi gatti straordinari di restare tali ". Il 17 febbraio 2011 per festeggiare la giornata del gatto, gli amici della colonia di Su Pallosu hanno organizzano quattro giornate dal 17 al 20 Febbraio 2011 di visite e convegni....speriamo che questa iniziativa si possa ripetere ogni anno!  
Se amate gli animali e siete interessati a conoscere più a fondo questa colonia potete seguire il blog: http://gattisupallosu.blogspot.com/ .
Vi lasciamo con il video di questi bellissimi micioni:


mercoledì 1 giugno 2011

Cala Rossa...


Un bella gemma da visitare nel nord della Sardegna è Cala Rossa: situata nel comune di Trinità d'Agultu e Vignola, è vicina alla spiaggia de La Marinedda (vedi qui), tanto vicina che le noi tre con la nostra fedelissima amica a 4 zampe partiamo da quest'ultima spiaggia a piedi e giungiamo dopo neanche 20 minuti alla spiaggia sassosa di Cala Rossa. Il sentiero non è difficile, e si può approfittare dell'esperienza per ammirare i variopinti colori della primavera sarda: ci sono sembrati molto particolari dei fiori che spuntavano direttamente dal terreno senza stelo o altro aiuto!


Giunte alla fine del sentiero ci si trova di fronte ad uno spettacolo che lascia senza parole, quasi più in inverno che in estate: la natura, infatti, si sbizzarrisce, e il mare travolge furioso gli scogli e le rocce della costa, facendo assomigliare il panorama alle coste inglesi.


La natura provvede a molte nostre "necessità": sorge,infatti, vicino alla spiaggia un boschetto, o per meglio dire una pineta, che offre riparo dalla calura estiva e permette ai turisti, ma anche agli autoctoni, di potervisi accomodare su coperte e tavolini e gustare un bel pic-nic!

lunedì 9 maggio 2011

Bignè...gnam gnam


Ingredienti per 5 persone: 
Per la pasta: 75 g di farina, 2 uova, 50 g di burro, sale 
Per farcire: crema pasticciera e nutella


Preparazione:

Pasta per bignè: Tagliate a tocchetti il burro e lasciatelo ammorbidire leggermente a temperatura ambiente.
Mettete al fuoco una casseruola con 125 g d'acqua, il burro e un pizzico di sale; non appena prende bollore allontanate la casseruola dal fuoco e incorporatevi tutta la farina e mescolate vigorosamente con un cucchiaio di legno sino a ottenere una massa soda e omogenea. Ponete di nuovo il recipiente sul fuoco basso e continuate a mescolare sino a quando il composto si staccherà dalle pareti e sfrigolerà come se friggesse. Spegnete e lasciate raffreddare. Quando l'impasto sarà freddo incorporatevi uno alla volta le uova. Mettete il composto in una tasca da pasticcere con bocchetta rotonda e distribuitelo a ciuffetti grandi quanto una grossa ciliegia e ben distanziati, su una teglia che avrete prima unto di burro. Fate cuocere in forno preriscaldato, per 12-13 minuti a 200°c, quando i bignè diventeranno gonfi e dorati toglieteli dal forno e fateli raffreddare. Tagliate parzialmente la calotta e farcite con crema pasticciera o nutella, glassate poi a piacere.


Crema pasticciera: 4 tuorli, 50 g di farina, 100 g di zucchero, 1/2 l di latte, una bustina di vanillina.
In una casseruola mescolate i tuorli d'uovo, lo zucchero e la farina fino ad ottenere un composto soffice e privo di grumi. Incorporate il latte freddo versato a filo e la vanillina, senza mai smettere di mescolare. Ponete la casseruola su fiamma bassa e mescolate in continuazione, portate il composto a ebollizione. Lasciate sobbollire per qualche istante, spegnete la fiamma e lasciate raffreddare la crema. Ogni tanto mescolate per non far formare una pellicola in superficie.

venerdì 6 maggio 2011

Le terme di Calsteldoria


Sorgenti naturali d'acqua, chiamate dagli abitanti "Li Caldani", le terme di Calsteldoria (provincia Olbia-Tempio) sono le attrazioni principali della zona.
Polle d'acqua bollente, si fondono con il Coghinas, scavano una conca tra il Monte Ruju e il Monte Ortigiu, e dopo secoli di continua erosione, si è formata, in mezzo ad un paesaggio suggestivo e pittoresco, una gola piena di fumi di vapore, che suggeriscono allo spettatore sinistre storie.


La piccola caletta di sassi è decisamente più rassicurante: circondata dalla flora ricca di palme, di pini secolari ed eucalipti, sorge il complesso termale da poco inaugurato, dove si può godere dei benefici delle calde acque.
In diversi punti della riva sorga l'acqua bollente, e nella giusta stagione non è impossibile trovare bagnanti che godono del tepore dell'acqua, e dei suoi fanghi.
Noi stesse, in visita alle terme, abbiamo assistito alla scena di un cagnolino che vedendo l'acqua ci si è bagnato le zampette, salvo poi accorgersi di come fosse troppo calda ed essere salvato dal suo padrone, che prontamente l'ha riportato a nella caletta.

mercoledì 4 maggio 2011

Mariedda, s'istiridda


Un poesia di Pasquale Dessanay recita di una servetta che, d'inverno, fa ritorno verso casa con una brocca d'acqua gelata:

”Fit una die de iberru mala e fritta
fit bentu, fit froccande a frocca lada
e Mariedda, totu tostorada,
ghirabat chin sa brocca dae Istiritta.
Buffandesi sas ungras, poveritta!
Fachiat a cada passu s'arressada
e dae sa fardettedda istrazzulada
nch'essiat un'anchichedda biaitta.
Mentras andabat gai arressa arressa,
istabat annottandesi sa frocca
ch'imbiancabat una murichessa,
Cando trabuccat... e a terra sa brocca!
Mariedda pranghende tando pessat
chi li cazzan su frittu chin sa socca.”

”Era una giornata d’inverno cattiva e fredda,
ventosa e fioccava a larghe falde,
e Mariedda, tutta intirizzita,
tornava con la brocca da Istiritta,
soffiandosi le unghie, poveretta!
Faceva sosta ad ogni passo 
e dal gonnellino tutto stracciato
spuntava una gambetta livida di freddo.
E mentre avanzava con fatica,
stava a guardare i fiocchi di neve
che imbiancavano un gelso,
quando inciampa... e a terra la brocca!
Mariedda piangendo allora pensa
che le toglieranno il freddo 
a suon di frustate.” 

La poesia è dedicata all'antica fontana Istiritta, oggi scomparsa, e i nuoresi per ricordarla hanno fatto edificare a Mario Costa una piccola piazzola con una statuetta in memoria di Mariedda, a cui si rompe la brocca durante il cammino.

lunedì 2 maggio 2011

Torta millefoglie... gnam gnam!!


Ingredienti per 8 persone:
Per la pasta: Pasta sfoglia da fare in casa o già pronta!
Per la farcia: Crema pasticciera.
Per decorare: 50 g di noci sgusciate o se preferite mandorle e nocciole, zucchero a velo o panna montata, fragole, decori in ostia...

Crema pasticciera: 4 tuorli, 50 g di farina, 100 g di zucchero, 1/2 l di latte, una bustina di vanillina.
In una casseruola mescolate i tuorli d'uovo, lo zucchero e la farina fino ad ottenere un composto soffice e privo di grumi. Incorporate il latte freddo versato a filo e la vanillina, senza mai smettere di mescolare.
Ponete la casseruola su fiamma bassa e mescolate in continuazione, portate il composto a ebollizione. Lasciate sobbollire per qualche istante, spegnete la fiamma e lasciate raffreddare la crema. Ogni tanto mescolate per non far formare una pellicola in superficie.

Pasta sfoglia: 500 g di farina, 500 g di burro (per farla meno pesante e più morbida da tagliare consiglio di usare 250 g di burro e 250 g di margarina), sale,circa 250 g di acqua fredda.
Lasciate ammorbidire il burro a temperatura ambiente, setacciate 400 g di farina mescolandola con un cucchiaino raso di sale, disponetela quindi a fontana sulla spianatoia. Impastate velocemente ed energicamente con circa 250 g di acqua fredda, per 5 minuti, formate un panetto avvolgetelo nella pellicola trasparente e lasciate riposare in frigorifero per una ventina di minuti.
Impastate la farina rimasta con il burro (e la margarina se decidete di usare anche questa), formate un panetto, avvolgetelo nella pellicola trasparente e lasciate riposare  in frigorifero per 15 minuti.
Sulla spianatoia infarinata stendete il primo impasto, formate un rettangolo non troppo grande, collocate al centro il secondo impasto e ripiegatevi sopra i quattro lembi di pasta. Stendete la pasta in modo da formare un'altro rettangolo ( il mattarello deve essere spinto sempre in avanti e indietro nella medesima direzione e non ai lati). Ripiegate i lati lunghi del rettangolo verso il centro della sfoglia e quindi sovrapponete la metà inferiore con quella superiore: la pasta sarà stata piegata quattro volte. Girate il panetto stendete la pasta con il mattarello spingendo in avanti e indietro e ripiegate la pasta in quattro con il procedimento spiegato in precedenza, avvolgetelo nella pellicola trasparente e lasciatela riposare in frigorifero per 30 minuti.
Stendete e ripiegate la pasta altre due cercando di non toccarla troppo con le mani perché il calore potrebbe far sciogliere il burro. Stendete la pasta sulla spianatoia e datele la forma desiderata .

Preparazione: Preparate la pasta sfoglia, trascorso l'ultimo periodo di riposo, stendete la pasta e preparate dei dischi di pochi millimetri di spessore oppure potete darle la forma che preferite.
Punzecchiate i dischi di pasta con i rebbi di una forchetta e fateli cuocere uno dopo l'altro nel forno già ben caldo (220°C) per pochi minuti (devono diventare dorati e fragranti) fate poi raffreddare.
Preparate la crema pasticciera e lasciatela raffreddare. Tritate le noci o le mandorle e le nocciole. Alternate i dischi di pasta sfoglia con spessi strati di crema pasticciera, terminate con un disco di pasta sfoglia che cospargerete di zucchero a velo o di panna montata, Spalmate un leggero strato di crema sui bordi della torta e ricopriteli con il trito di mandorle e nocciole o noci. Decorate poi a piacere.

sabato 30 aprile 2011

Eleonora D'Arborea: principessa guerriera e legislatrice.

Ultima giudichessa indigena della Sardegna, riuscita a resistere agli attacchi stranieri per molto tempo, è famosa soprattutto per la promulgazione della Carta de Logu, uno dei primi esempi di costituzione al mondo: Eleonora d'Arborea (1340 - 1404) ha regnato nel giudicato d'Arborea, dal 1383 al 1402. Il significato simbolico collegato alla giudicessa è legato alla durata del suo giudicato, l'ultimo a cadere in mano straniera.
Sposata con Brancaleone Doria, figlio della casata ligure, Eleonora s'immise con rango paritario nel gioco della politica europea principalmente grazie a due mosse diplomatiche:
elargendo un prestito di 4.000 fiorini al doge della repubblica genovese, Nicolò Guarco, che si doveva impegnare per restituirli in dieci anni, e facendo sottoscrivere la condizione accessoria che, se nel frattempo il figlio di Eleonora e la figlia del doge fossero pervenuti alla pubertà, si sarebbero sposati tra di loro.
Queste mosse fanno intuire un disegno dinastico da parte di Eleonora, che mantenne alto il prestigio della propria casata, riconoscendo il prestigio della famiglia genovese.
Successivamente l'Aragona volle conquistare l'Isola, e, dopo l'assassinio del fratello Ugone III d'Arborea, sembrava che la compattezza dei Sardi stesse per sfaldarsi tra cupidigie e intrighi, quando Eleonora impugnò le armi, e si proclamò giudicessa, secondo l'antico diritto regio sardo per cui le donne possono salire al trono in sostituzione del proprio padre o del proprio fratello, scrivendo immediatamente dopo al sovrano, proponendo una trattativa per ridare pace all'Isola sconvolta da tanti anni di guerra: inviò il marito al re, che si attendeva un atto di sottomissione, ma poi, il reggente, visto l'entusiasmo suscitato nei Sardi dalla giudicessa, lo tenne in ostaggio, ponendo come condizione per liberarlo la consegna del figlio Federico e la sottomissione di Eleonora, che rifiutò. Le trattative durarono per tre anni in un clima di estrema diffidenza: il re chiedeva la restituzione dei territori e la giovane replicava che le popolazioni non intendevano ritornare sotto il governo d'Aragona, ma improvvisamente Eleonora capitola ponendo come condizione la liberazione del marito.
Nel 1392 le operazioni di guerra si ridussero a piccoli colpi di mano, per cui Eleonora ne lasciò la direzione al marito, preoccupandosi dei problemi sociali: per far questo promulgò la "Carta de Logu".
Scritta in volgare sardo, tratta delle materie civili e penali, è chiara e concisa nella forma, e rinnovar vigorosamente i secolari istitui locali, adeguandoli ai nuovi tempi e alla nuova dottrina giuridica.
Nel proemio; Eleonora fissa due concetti: l'elevamento de Paese dipende dalla buona giustizia e le buone leggi tengono a freno i malvagi.
Le pene, tranne i casi più gravi per i quali è prevista la morte, sono sempre pecuniarie: mutilazione, fustigazione, berlina e marchio si applicano solo in caso di mancato pagamento della pena pecuniaria. Il carcere è  contemplato solo come mezzo di custodia preventiva, mai come pena.
La Carta fu poi estesa a tutta l'Isola dagli stessi aragonesi e restò in vigore con le opportune modifiche fino all'emanazione del Codice di Carlo Felice di Savoia.

giovedì 28 aprile 2011

Gramsci: il giorno dopo il 74esimo anniversario della morte.

"Sono invecchiato di 4 anni, ho molti capelli bianchi, ho perduto i denti, non rido più di gusto come una volta, ma credo di essere diventato più saggio e di aver arricchito degli uomini e delle cose"
(Lettera alla madre del 15 Dicembre 1930)
Con queste parole, Antonio Gramsci (Ales, 22 Gennaio 1891 - Roma, 27 Aprile 1937), riflette su come tutte le esperienze della vita, sia esse dolorose e piene di sofferenza, portino comunque ad un arricchimento spirituale e interiore molto alto, e ciò rende le sofferenze stesse sopportabili.
Le sofferenze di cui parla sono riferite alle condizioni di salute che il carcere gli procurò durante gli anni della sua  prigionia: essendo tra i fondatori del Partito Comunista d'Italia, fu incarcerato nel 1926 dal regime fascista di Mussolini per le sue idee e, solo in seguito al peggioramento delle sue condizioni di salute, gli fu concessa la libertà condizionale nel 1934, solo per finire i suoi giorni in una clinica tre anni più tardi.
Durante la sua prigionia Gramsci iniziò un rapporto epistolare molto stretto con la sua famiglia, e di queste lettere non tutte arrivarono a destinazione poiché il personale carcerario controllava ogni singolo aspetto della vita dei detenuti, comprese le missive spedite e ricevute da questi ultimi.
"In cella si può tenere pochissima roba, il puro necessario. Quando giunge qualche pacchetto si è chiamati per assistere all'apertura, per controllare che tutto sia in ordine. Si porta via qualche cosa con sè... la regola è che si riporta il vecchio e si prende il nuovo." (Lettera a Tania del 11 Gennaio 1932)
"Ciò andrebbe contro il regolamento che vuole sia mantenuto il carattere afflittivo della pena carceraria" (Lettera alla madre del 20 Febbraio 1932).
Così metteva in evidenza la severità delle condizioni nelle quali si trovavano a vivere i carcerati, che spesso vanno al ridicolo; ma si sa che le leggi vogliono far sentire maggiormente il distacco dalla vita che si svolge al di fuori delle carceri:
"L'abbonamento al Corriere non l'ho sospeso io: è stata sospesa la concessione di leggere i giornali quotidiani" (Lettera a Tania del 6 Giugno 1932).
"In linea generale non devi mandarmi nulla che io non ti domandi o sulla cui spedizione io non sia stato consenziente.. Tu dici che io non domando nulla. Non è vero; io, quando ho bisogno, domando; ma cerco di farlo razionalmente, per non creare cattive abitudini, che poi è più doloroso smettere. Per vivere tranquilli, in carcere, occorre abituarsi al purissimo necessario." (Lettera a Tania nel 12 Settembre 1927).
Gramsci, anche se limitato in una vita carceraria, voleva sempre mantenersi efficiente; mantenere un certo regime, in carcere era per lui una necessità poiché, nella limitatezza, ogni piccolo vizio potrebbe divenire una necessità, quindi dolorosa da abbandonare. Lui voleva condurre una vita il più possibile normale, anche se all'interno delle mura carcerarie.
Le paure del giovane Antonio erano la noia e l'abbruttimento intellettuale dai quali cercava di allontanarsi interessandosi a vari problemi:
"Nonostante tutto, non riesco a soffocare il bisogno di seguire, sia pure molto approssimativamente, ciò che succede nel mondo grande e terribile" (Lettera a Tania del 20 Febbraio 1928);
"Il peggiore guaio della mia attuale vita è la noia... Hanno finito per corrodermi i nervi" (Lettera a Teresina del 20 Febbraio 1928);
"Sono molto cambiato, in tutto questo tempo. Ho creduto in certi giorni di essere diventato apatico e inerte." (Lettera a Giulia del 27 Febbraio 1928).
Ma per chi è in carcere i problemi non si esauriscono qui "La preoccupazione della tua salute, da un anno a questa parte, mi ha spesso amareggiato troppo, e mi ha fatto sentire la durezza della privazione di libertà della vita carceraria" (Lettera a Tania del 1 Maggio 1928); il non poter essere libero di andare da Tania quando sta male, lo innervosì e gli fece sentire tutto il peso della reclusione.
"I libri e le riviste danno solo idee generali... ma non possono dare l'impressione immediata,... di singole persone reali, senza capire i quali non si può capire neanche ciò che è universalizzato e generalizzato... Conoscevo un giovane operaio... il Giappone lo ossessionava... gli sfuggiva non riusciva ad avere un quadro sistematico delle forze del mondo... Io allora ridevo... Oggi lo capisco. Anch'io ho il mio Giappone: è la vita di  Pietro, di Paolo, e anche di Giulia, di Delio, di Giuliano. Mi manca proprio la sensazione molecolare: Come potrei, anche sommariamente, percepire la vita del tutto complesso?" (Lettera a Giulia il 19 Novembre 1928).
 Dentro il carcere Gramsci viene tagliato fuori dal mondo, non può più rendersi conto di quello che avviene al di fuori delle mura della prigione, può solo avere notizie generali prive di senso perché non collocabili in una spazio e in un tempo reali, restano quindi in uno stato astratto finendo per non avere più importanza perché non riesce a coglierli nella loro profondità.
"Credevo di poter ottenere l'uso permanente della penna e mi ero proposto di scrivere i lavori... non ho però ottenuto il permesso... non posso prendere appunti, cioè in realtà non posso studiare ordinatamente e con profitto" (Lettera a Tania del 11 Aprile del 1927)
"Mi sono accorto che, proprio al contrario di quanto avevo sempre pensato, in carcere si studia male, per tante ragioni, tecniche e psicologiche" (Lettera a Tania i 2 Maggio del 1927)"Ormai ho abbandonato il disegno di scrivere (per forza maggiore, data l'impossibilità di ottenere la disponibilità del materiale scrittorio)." (Lettera a Tania 12 Dicembre 1927)"Anche la lettura diventa sempre più indifferente. Naturalmente, leggo ancora molto, ma senza interesse, meccanicamente." (Lettera a Berti il 30 Gennaio 1928).
In queste righe si nota come la vita carceraria stia spegnendo gli interessi e la curiosità intellettuale di Gramsci: tutto diventa meccanico e abitudine, scopo voluto sicuramente dal regime fascista che mirava, sicuramente, ad annullare la personalità e le idee politiche per renderlo passivo e inoffensivo ai loro progetti. Ciò rende ancora più incredibile il lavoro fatto dal prigioniero politico con le sue lettere e il suo lavoro filosofico di chiara matrice Marxista. Successivamente Gramsci scrisse: "Io non sono un afflitto che deve essere consolato, e non lo diventerò mai" (Lettera del 25 Aprile del 1927) e il 12 Marzo del 1928: "Il carcere è una bruttissima cosa; ma per me sarebbe anche peggio il disonore per debolezza morale e per vigliaccheria." (Lettera a Carlo) e poi il 3 Dicembre dello stesso anno sempre a Carlo: "Tatiana mi ha disilluso; credevo fosse più sobria nell'immaginazione e più pratica. Vedo invece che si fa dei romanzi, come quello che sia possibile che la reclusione venga trasformata, per ragioni di salute, in confino... ciò sarebbe possibile solo per via di una misura personale di grazia, che sarebbe concessa, già s'intende, solo dietro domanda motivata per cambiamento di opinioni... io non ho nessuna intenzione né d'inginocchiarmi dinnanzi a chicchessia, né di mutare di una linea la mia condotta." Conoscendo molto bene le leggi vigenti  non le condivide poiché intaccherebbero la sua personalità e il suo principio morale e ha paura che i suoi familiari possano deviare, senza il suo volere, la sua linea di condotta per la quale ha tanto lottato, tanto da accettare anche la reclusione, rimanendo in questo modo in carcere fino al peggioramento delle sue condizioni di salute diversi anni dopo.