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giovedì 28 aprile 2011

Gramsci: il giorno dopo il 74esimo anniversario della morte.

"Sono invecchiato di 4 anni, ho molti capelli bianchi, ho perduto i denti, non rido più di gusto come una volta, ma credo di essere diventato più saggio e di aver arricchito degli uomini e delle cose"
(Lettera alla madre del 15 Dicembre 1930)
Con queste parole, Antonio Gramsci (Ales, 22 Gennaio 1891 - Roma, 27 Aprile 1937), riflette su come tutte le esperienze della vita, sia esse dolorose e piene di sofferenza, portino comunque ad un arricchimento spirituale e interiore molto alto, e ciò rende le sofferenze stesse sopportabili.
Le sofferenze di cui parla sono riferite alle condizioni di salute che il carcere gli procurò durante gli anni della sua  prigionia: essendo tra i fondatori del Partito Comunista d'Italia, fu incarcerato nel 1926 dal regime fascista di Mussolini per le sue idee e, solo in seguito al peggioramento delle sue condizioni di salute, gli fu concessa la libertà condizionale nel 1934, solo per finire i suoi giorni in una clinica tre anni più tardi.
Durante la sua prigionia Gramsci iniziò un rapporto epistolare molto stretto con la sua famiglia, e di queste lettere non tutte arrivarono a destinazione poiché il personale carcerario controllava ogni singolo aspetto della vita dei detenuti, comprese le missive spedite e ricevute da questi ultimi.
"In cella si può tenere pochissima roba, il puro necessario. Quando giunge qualche pacchetto si è chiamati per assistere all'apertura, per controllare che tutto sia in ordine. Si porta via qualche cosa con sè... la regola è che si riporta il vecchio e si prende il nuovo." (Lettera a Tania del 11 Gennaio 1932)
"Ciò andrebbe contro il regolamento che vuole sia mantenuto il carattere afflittivo della pena carceraria" (Lettera alla madre del 20 Febbraio 1932).
Così metteva in evidenza la severità delle condizioni nelle quali si trovavano a vivere i carcerati, che spesso vanno al ridicolo; ma si sa che le leggi vogliono far sentire maggiormente il distacco dalla vita che si svolge al di fuori delle carceri:
"L'abbonamento al Corriere non l'ho sospeso io: è stata sospesa la concessione di leggere i giornali quotidiani" (Lettera a Tania del 6 Giugno 1932).
"In linea generale non devi mandarmi nulla che io non ti domandi o sulla cui spedizione io non sia stato consenziente.. Tu dici che io non domando nulla. Non è vero; io, quando ho bisogno, domando; ma cerco di farlo razionalmente, per non creare cattive abitudini, che poi è più doloroso smettere. Per vivere tranquilli, in carcere, occorre abituarsi al purissimo necessario." (Lettera a Tania nel 12 Settembre 1927).
Gramsci, anche se limitato in una vita carceraria, voleva sempre mantenersi efficiente; mantenere un certo regime, in carcere era per lui una necessità poiché, nella limitatezza, ogni piccolo vizio potrebbe divenire una necessità, quindi dolorosa da abbandonare. Lui voleva condurre una vita il più possibile normale, anche se all'interno delle mura carcerarie.
Le paure del giovane Antonio erano la noia e l'abbruttimento intellettuale dai quali cercava di allontanarsi interessandosi a vari problemi:
"Nonostante tutto, non riesco a soffocare il bisogno di seguire, sia pure molto approssimativamente, ciò che succede nel mondo grande e terribile" (Lettera a Tania del 20 Febbraio 1928);
"Il peggiore guaio della mia attuale vita è la noia... Hanno finito per corrodermi i nervi" (Lettera a Teresina del 20 Febbraio 1928);
"Sono molto cambiato, in tutto questo tempo. Ho creduto in certi giorni di essere diventato apatico e inerte." (Lettera a Giulia del 27 Febbraio 1928).
Ma per chi è in carcere i problemi non si esauriscono qui "La preoccupazione della tua salute, da un anno a questa parte, mi ha spesso amareggiato troppo, e mi ha fatto sentire la durezza della privazione di libertà della vita carceraria" (Lettera a Tania del 1 Maggio 1928); il non poter essere libero di andare da Tania quando sta male, lo innervosì e gli fece sentire tutto il peso della reclusione.
"I libri e le riviste danno solo idee generali... ma non possono dare l'impressione immediata,... di singole persone reali, senza capire i quali non si può capire neanche ciò che è universalizzato e generalizzato... Conoscevo un giovane operaio... il Giappone lo ossessionava... gli sfuggiva non riusciva ad avere un quadro sistematico delle forze del mondo... Io allora ridevo... Oggi lo capisco. Anch'io ho il mio Giappone: è la vita di  Pietro, di Paolo, e anche di Giulia, di Delio, di Giuliano. Mi manca proprio la sensazione molecolare: Come potrei, anche sommariamente, percepire la vita del tutto complesso?" (Lettera a Giulia il 19 Novembre 1928).
 Dentro il carcere Gramsci viene tagliato fuori dal mondo, non può più rendersi conto di quello che avviene al di fuori delle mura della prigione, può solo avere notizie generali prive di senso perché non collocabili in una spazio e in un tempo reali, restano quindi in uno stato astratto finendo per non avere più importanza perché non riesce a coglierli nella loro profondità.
"Credevo di poter ottenere l'uso permanente della penna e mi ero proposto di scrivere i lavori... non ho però ottenuto il permesso... non posso prendere appunti, cioè in realtà non posso studiare ordinatamente e con profitto" (Lettera a Tania del 11 Aprile del 1927)
"Mi sono accorto che, proprio al contrario di quanto avevo sempre pensato, in carcere si studia male, per tante ragioni, tecniche e psicologiche" (Lettera a Tania i 2 Maggio del 1927)"Ormai ho abbandonato il disegno di scrivere (per forza maggiore, data l'impossibilità di ottenere la disponibilità del materiale scrittorio)." (Lettera a Tania 12 Dicembre 1927)"Anche la lettura diventa sempre più indifferente. Naturalmente, leggo ancora molto, ma senza interesse, meccanicamente." (Lettera a Berti il 30 Gennaio 1928).
In queste righe si nota come la vita carceraria stia spegnendo gli interessi e la curiosità intellettuale di Gramsci: tutto diventa meccanico e abitudine, scopo voluto sicuramente dal regime fascista che mirava, sicuramente, ad annullare la personalità e le idee politiche per renderlo passivo e inoffensivo ai loro progetti. Ciò rende ancora più incredibile il lavoro fatto dal prigioniero politico con le sue lettere e il suo lavoro filosofico di chiara matrice Marxista. Successivamente Gramsci scrisse: "Io non sono un afflitto che deve essere consolato, e non lo diventerò mai" (Lettera del 25 Aprile del 1927) e il 12 Marzo del 1928: "Il carcere è una bruttissima cosa; ma per me sarebbe anche peggio il disonore per debolezza morale e per vigliaccheria." (Lettera a Carlo) e poi il 3 Dicembre dello stesso anno sempre a Carlo: "Tatiana mi ha disilluso; credevo fosse più sobria nell'immaginazione e più pratica. Vedo invece che si fa dei romanzi, come quello che sia possibile che la reclusione venga trasformata, per ragioni di salute, in confino... ciò sarebbe possibile solo per via di una misura personale di grazia, che sarebbe concessa, già s'intende, solo dietro domanda motivata per cambiamento di opinioni... io non ho nessuna intenzione né d'inginocchiarmi dinnanzi a chicchessia, né di mutare di una linea la mia condotta." Conoscendo molto bene le leggi vigenti  non le condivide poiché intaccherebbero la sua personalità e il suo principio morale e ha paura che i suoi familiari possano deviare, senza il suo volere, la sua linea di condotta per la quale ha tanto lottato, tanto da accettare anche la reclusione, rimanendo in questo modo in carcere fino al peggioramento delle sue condizioni di salute diversi anni dopo.

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